Mille morsi mortali.

Tutto nero.
Si sente solo il fragore ritmico e incessante delle onde, lento, come il canto di una madre che culla il suo bambino fra le braccia.
Continua, mi scioglie, porta il pensiero a viaggiare, vela sulle onde dei ricordi e del desiderio.

Non voglio aprire gli occhi. Voglio restare qui, in questa dimensione dove tutto è inafferrabile, tutto mi scivola e anche io sono materia impalpabile. Qui dove nulla ha bisogno di spiegazioni e nulla avrà mai la forza o il desiderio di fermare quell’unico suono perpetuo, ipnotico, acqua che scorre per chilometri senza emettere un suono, per poi dissolversi sulla riva e tornare indietro.

Lasciatemi qui, dove la solitudine è solo un mezzo per percepire la sinergia del tutto. Dove basta guardare negli occhi una sirena, vederla sorridere, senza distogliere lo sguardo finché, imbarazzata, inizia a piangere. Lacrime che rigano le sue guance e sfiorano quel sorriso, pareva immutato, ma adesso trema.

Sulla scogliera, vige un faro che è spento da secoli, sia di notte che di giorno. L’ultimo consumato vessillo di una terra dimenticata dal mondo.
All’interno del faro, una figura si sporge senza paura verso quel mare infinito, ascoltando quel rumore, osservando il colore dell’acqua che oggi è più scuro del solito. La mano scivola senza forza lungo il muro ruvido e la vertigine di un momento si trasforma in un tuffo silente e fatale.

Seduto sulla sabbia, sento gli occhi gonfiarsi di malinconia e vedo una goccia cadere a terra. Poi un’altra e un’altra ancora, comincia a piovere senza che io abbia potuto scrollarmi di dosso una singola ombra del mio malessere. Non ancora.

Corro al riparo verso la foresta oltre la spiaggia, a piedi nudi su rami spinati la vegetazione cascata al suolo, supero migliaia di alberi; come fa a crescere tutto questo su un terreno di sabbia?

Non trovo riparo. Mi appoggio alla pianta dalle foglie enormi, osservandole qualche istante decido che saranno il mio riparo se solo riuscirò a strapparle.
Devo arrampicarmi, ma non faccio altro che scivolare ogni volta dalla corteccia.
I lampi illuminano tutto per un istante, trovo la forza di riprovare. Arrivo finalmente alle foglie, allungo il braccio fino a toccare quella più vicina e il tempo rallenta, vedo il lampo ramificarsi fra le nuvole e le gocce scendere a mezz’aria quasi senza peso, il ramo della foglia si attorciglia attorno al braccio, diventa una corda verde scura che si alza verso di me assumendo il volto di un serpente. Le pupille ellittiche mi attraversano lo sguardo, le nuvole plumbee dietro questa creatura sembrano lo sfondo apocalittico di una leggenda mitologica, il rumore è cessato e il tempo si è fermato.
Solo il serpente è escluso da questa immobilità, si avvicina lentamente e arrivato a pochi centimetri dal mio viso mi chiede: “Perché stai fuggendo?”.

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Afferrala finché sei in tempo

Sensazioni mutevoli, impossibile coglierne l’essenza, impossibile trattenerle.

Il mio riflesso esplode nello specchio scagliando i frammenti in ogni angolo della stanza, moltiplicandomi, perdo la mia identità, eppure ho come l’impressione di avere finalmente capito. Similmente a quando si è ubriachi, dannatamente tristi ma troppo stanchi per impazzire, in quei momenti la mente pare avere qualche istante di folle lucidità e ci sembra di cogliere la nostra verità. Tutto improvvisamente diventa chiaro e lampante, tutto, il perché di ogni cosa ci appare così logico.

Allora mi permetto di gridare e dirvi che anche io ho capito finalmente, anche io ho provato questa sensazione. Ed è stato pochi minuti fa, con una canzone così magnifica da farsi spazio in mezzo a mille altre, così perfetta e vera da colpirmi al centro dell’anima senza avermi sfiorato il corpo.

La canzone è questa:

E mi ha fatto perdere le rotelle per sei minuti.
Mi ha fatto staccare dal corpo, quella salma inutile che non ha fatto altro che dimenarsi e scaldarsi per tutto il tempo.
L’ho sentita, l’ho afferrata.
L’ho tenuta stretta, la sto stringendo anche ora, metterla in loop tre o quattro volte non mi basta.

E’ così che si vive porca puttana!
Bisogna trovare quella canzone, ascoltarla, lasciarsi andare ad essa fino all’esaurimento e poi morire!

E poi? Rinascere, per poi morire, di nuovo, in eterno, finché non ci si consuma, volta dopo volta, come un fiammifero che ha finito lo zolfo e continua a strofinarsi sulla carta vetrata fino a diventare una minuscola scheggia.

Ma dove vogliamo andare, se non troviamo neanche la carta su cui far scattare le scintille? 

La vita si basa unicamente su questa ricerca. Non importa dove o come la ottieni, DEVI accenderti!

Poche volte sento il bisogno di bruciare come adesso, di prendere fuoco e diventare un faro luminoso che risplende sulla città, facendo piovere scintille sui passanti, sulle automobili, sulla strada, sulle case, sui palazzi, sui fiumi, sulle foreste, sulle montagne, sulle metropoli, sulle isole e sui continenti; facendo brillare tutto ciò che posso vedere e toccare.

Voglio che la gente veda queste scintille cadere dolcemente e posarsi sulla loro pelle, scottandosi per un breve istante.
Voglio che in quell’istante si sentano risvegliati, che l’adrenalina scorrendo per una frazione di secondo nelle loro vene possa svegliarli dal torpore che li attanaglia, segregati in una prigione fatta di menzogne…

Questa prigionia non può durare in eterno!

Quindi alzatevi, gridate con tutta la vostra energia, piangete, ridete, spaccate gli oggetti, ma non addormentatevi.
Non ammorbatevi con le piccole dipendenze che ci rifilano ogni giorno! Le mode, i social, le frasi fatte; pastiglie date ai pazienti di un manicomio per restare calmi e seduti nella propria cella, come fiori appassiti che rivolgono gli steli alle sbarre di una finestra.

Pastiglie colorate per i pazzi che non hanno spazio nella società.

 

Torture cinesi

Sono tornato nel paese in cui vi avevo lasciati crepare sotto la polvere e le piogge di pallottole.

Il delirio più assurdo assiste coloro che ascoltano se stessi senza demolire la purezza della propria natura, la follia attende coloro che rimarrano sconvolti dalla scoperta di se stessi e delle conseguenze che ne possono derivare, la vacuità esistenziale si insinuerà come un parassita in chi non proverà mai a dar voce al sé.

Vi aspettano dolore e fiamme oltre il giardino di rose delle vostre illusioni. E se pensate di essere salvi fra i petali svolazzanti e il profumo afrodisiaco dei boccioli vermigli vi sbagliate di grosso. Tutte quelle piccole labbra delicate che si alzano col vento non sono altro che scintille di un incendio, pronto a investirvi con tutta la sua furia, alimentato dalle grida dei vostri rimpianti.

E così brucerete di un fuoco eterno che non si spegnerà fino a quando non si saranno prosciugate le vostre lacrime e i vostri volti, bucati nelle orbite, volgeranno il mento verso le nuvole. Rimanendo così, in ginocchio, immobili.

Non date peso alle mie parole, sono maledizioni per il vento.

Ma a volte anche chi non è pazzo ha bisogno di gridare all’oceano e a tutta la sua vastità.

Siamo sempre così attaccati alle nostre sicurezze, alle nostre stupide armature scintillanti, che non facciamo altro che tremare di freddo al contatto della pelle con il metallo.
Così ci troviamo ogni volta a chiedere spiegazioni che risultano sempre insoddisfacenti, per problemi più grandi di noi e del cielo sopra le nostre teste.

Meno male che c’è il nu metal, che catalizza questo strano sfogo che non riesco a capire da dove sia saltato fuori, l’importante è assecondarlo il più possibile. Spaccare le catene del senso e della logica, uscire dal Matrix con la tastiera di un pc anziché un telefono fisso.

Non mi dispiacerebbe arrivare almeno a 500 parole, a restare sotto le 300 mi sembra di fare un tweet del cazzo, a quel punto tanto vale rinunciare. Non che abbia molto senso questa cosa che ho detto ma va bene così, devo USCIRE LA TEGA.

Quindi diamo fiato alle trombe, ascoltiamo il rullo di tamburi che scandisce un ritmo sempre più veloce, fino alle voci che assieme ai violini fanno salire la pelle d’oca e spalancare gli occhi di fronte all’orrore e alla morte.

Pensate all’orrore di Nizza, le persone affascinate dai fuochi d’artificio, l’orgoglio della propria patria gonfiare il petto, in un giorno così importante. Poi, un tir di diverse tonnellate con un pazzo a bordo, che prova la stessa sensazione, solo che i fuochi d’artificio sono il terrore e la morte giustificata da una causa che ai suoi occhi vale più della sua stessa vita. Una follia secca e decisa come un colpo di mannaia lo ha guidato dal suo paese fino a quella splendida città che è Nizza, con un mare così azzurro da far splendere anche l’anima di un uomo dalla coscienza sporca.
Non so molto dell’accaduto e quindi non voglio esprimere alcuna opinione a riguardo, cosa che invece non fa molta gente, a quanto pare.
Io ammetto la mia ignoranza ingiustificata di fronte a tale vicenda, però nella mia coerenza cerco di stare zitto e non dare fiato inutilmente alla bocca.
Però a quanto pare molta altra gente ha pensato bene di cavalcare l’onda mediatica a proprio vantaggio, dimostrando una dignità e un rispetto per l’accaduto pari a zero.

Che il male vi possa trascinare all’inferno con una grossa mano nera affilata aggrappandosi ai vostri genitali.

Buonanotte a tutti e sogni d’oro.

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Non esistono pause

Ci svegliamo col male di vivere addosso, la voglia di rimanere sepolti fra cuscini e lenzuola, come animali che tentano di prolungare il letargo. Ma la stagione è finita.
E finisce ogni giorno ogni mattina.

L’umore si prende gioco di me, mi dice che sto bene, che sto male, che sono libero ma che ci sono preoccupazioni a cui pensare. Costantemente, che lo voglia oppure no.
Mi sussurra all’orecchio… Ti ricordi?… Fino a poco fa, quanto stavi bene? Quando tutto era sotto il tuo naso, ma tu eri instancabile. Continuavi a torturarti, a cercare buone motivazioni e scuse infantili solo per incolparti, per buttarti giù. Cercavi di capire la situazione e di capire te stesso, quando sarebbe bastato vivere per avere chiaro il quadro della situazione. Tu e questa tua insaziabile mania autodistruttiva che ti spinge a cercare insistentemente di comprendere tutto, di dare una spiegazione ad ogni singolo aspetto della tua vita…
E ti stupivi di non capire la poesia?

Stufo di questo modo iperrazionale di vedere e di percepire tutto.

Ricordiamoci quanto è bello non riuscire a dare una spiegazione agli avvenimenti, alle situazioni, alle persone, alle sensazioni.

Spesso le cose si capiscono solo quando si smette di analizzarle, perché è solo attraverso quel sé guidato da forze sconosciute che possiamo coglierne l’essenza.

E’ per questo che scrivo in questa maniera, è un tentativo di riprodurre il mio pensiero, assecondando immagini, ragionamenti e sensazioni permettendo loro di scorrere a ruota libera. Ascoltando le mie vibrazioni e interpretandone il senso nel modo più immediato e naturale a me possibile.

Solo in questo modo sono soddisfatto!
Nonostante i miei possano apparire come discorsi senza capo né coda.
Solo così, sento di essermi avvicinato ogni volta un pizzico in più, al senso.

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Dal cortometraggio “Un chien andalou” scritto da Luis Buñuel e Salvador Dalì, 1929.

In realtà questo è un qualcosa che cosa che è non lo so perché boh

Vi capita mai di non aver compreso ma di aver capito?
O di aver sentito senza aver ascoltato?
Aver apprezzato senza aver notato?

Vi capita mai di capitare in capitoli capitali della vostra vita, e di rendervi conto solo successivamente di esserci passati?

Vi capita mai di perdere la pazienza, isolarvi dal mondo e fissare il vuoto con la lingua che spinge l’interno della guancia?

Vi capita mai, di rompervi il cazzo di questo “Vi capita mai?”?

A me capita spesso, capite?

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Mi piaceva questo numero da piccolo, poi da grande acausadelleistituzioniscolastichemicac’entroioeh mi è venuto in odio.

Sgarbi, lo trovo sgarbato. Però lo stimo, in fondo ha sempre qualcosa di interessante da dire, che sia la sua opinione sulla scissione tra amore erotico e amore platonico o che sia la sua provocazione di turno.
Se non altro è molto più interessante di tutti quei contenuti con cui ci riempiamo e imbrattiamo di merda la memoria come i video umoristici su facebook.

CAZZO CHE RIDERE HAHAHAHAHA, COME DICI? DEVO METTERE MI PIACE E CONDIVIDERE? SUBITOOOOOOO!

Ormai non fanno neanche la fatica di pensare a qualcosa di stupido e nuovo, non c’è più questa ambizione, ormai anche l’originalità è stata violentata e gettata come un preservativo usato, fuori dal finestrino, in mezzo ai campi.

Un branco di pecore (o di capre -cit.) che si piegano a novanta gradi (a pecorina appunto) solo per delle stramaledette visualizzazioni. Nella speranza di ottenere soldi facendo un cazzo, idolatrati da migliaia di fan col cervello secco come il capezzolo turgido di un palestrato in slip sulla spiaggia. Lo schifo.

Vi siete resi conto di come, ormai, anche le persone siano diventate usa e getta?

Non vi fa accapponare la pelle questa cosa?

Non vi fa capire che il genere umano non si è evoluto ma ha solo imparato come autodistruggersi in modo più efficace?

Io provo un disgusto senza fine, che si protrae per tutta la mia esistenza, come un eterno glitch della televisione, una white noise interminabile, quando vedo certe cose. Quando vedo che c’è chi sostiene Donald Trump, c’è chi compra il libro di Salveenee, chi compra il libro di FaviJ, chi compra il libro di Barbara D’Urso e chi decide di segurie l’Amaroli e pubblicare ogni volta una foto con il bicchiere carico di urina pronta per essere soavemente deglutita.

Ripeto, gente che beve la propria urina, crede nel benessere di questa pratica, e pubblica foto di se stesso con il bicchiere carico di urina fresca fresca in mano.

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E io che credevo che la coprofagia di Gianni Morandi fosse tutta una montatura… Mi devo ricredere!


…Beh? Nessuna morale dopo tutta sta manfrina?
VUOI DIRMI CHE HO LETTO TUTTO QUESTO SENZA AVERE IL RIASSUNTINO FINALE CHE MI FA CAPIRE CHE NON HO SPRECATO IL MIO TEMPO?!?


La morale sapete qual è?
Mi dovevo sfogare.
Fatelo anche voi, sfogatevi!
Svuotate i vostri pesi interiori, voglio vedere le viscere sul parquet e il sorriso sulle vostre labbra; scrollatevi dalle spalle gli stronzi che hanno lasciato gli avvoltoi sopra le vostre teste e andate a vivere.

E ora, tornate a fare quello che stavate facendo prima di perdere il tempo che vi ho rubato con i miei utilissimerrimi pareri sul mondo.

Guten nacht everybody.

Sciolto

Mi sto liquefacendo progressivamente, seduto sulla sedia pieghevole da sei euro della mia camera, la schiena sempre più curva, il cuoio capelluto che scende sulle tempie, la maglietta che indosso adesso ricorda un sacco dell’umido, verde e puzzolente. Da gettare.
Solo qualche raro movimento d’aria mi riporta alla vita, destandomi dalla letargia sempre più profonda, acuita dalle tarme delle scadenze che ora dopo ora mordicchiano qua e là il mio cervello.
Usano le estremità dei loro arti come rebbi di forchette per aggomitolare i miei neuroni, facendo invitanti bocconi di assoni come spaghetti succulenti al sugo di mielina.

“Hmmm buono questo, dev’esserci un pizzico di serotonina che gli dà quel retrogusto così saporito…”
“Sai cosa secondo me oltre a quello?”
“Cosa Brek?”
“Credo che fossero in fase di depolarizzazione, perché sento del sodio. Ci fosse del cloro avremmo già il piatto salato a puntino!”
“Ohohoho Brek, sei così sciocco a volte!”
“Ohohoho ti odio schifoso di merda!”
“Aspetta.. Che cos-”

Insomma grasse risate fra il lobi temporali.

E sti cazzi, tutti a far festa e io me ne sto a morire lentamente… Spero che almeno mi sia rimasto un po’ di caffè!

*ssssssippp*

Rieccomi in piedi, nulla è accaduto. Sono di nuovo io, pronto ad essere la macchina produttiva di sempre, vigile e alienato così come vuole Babbo Natale col suo vestito rosso del cazzo. Grazie Coca-Cola.

Ora però la macchina dovrà tornare in fase di stand-by, domattina sveglia alle tre e cinquanta.
Avete letto bene, alle tre e cinquanta.
Di mattina.

Dio, perché sei così crudele?

Meno male che non credo più alle favole, così posso nominarti in vano senza sentirmi più divorato dai sensi di colpa come quando ero un piccolo giovincello disinteressato, come teneva a specificare sempre quella rompicazzo della fata turchina di Pinocchio.
Era veramente stra gnocca ma faceva cascare i testicoli six feet under non appena cominciava a imbastire Pino di raccomandazioni che devo capire ancora adesso.
Tra le qualità e gli ideali che avrebbe dovuto imparare il povero burattino secondo la fata c’era sempre quel “disinteressato” che proprio non mi va giù.
Disinteressato.
D I S I N T E R E S S A T O.

Ma torna a spacciare crack con Campanellino e vedi di non rompere ulteriormente. Grazie.

Ah comunque grazie per avermi dato vita e avermi tolto i fili, pardon, che maleducato.

4 ore di sonno rimaste.

Meglio se vado a sognare va là.
O almeno ci provo.

 

Questo articolo vi è stato offerto da: Pioggiadisangue s.a., il nostro motto è: scrivi alla cazzo che tanto qui non legge nessuno. 

Notte notte

Addicted to isolation

Faccio volare in aria fogli di carta, creando sciami che scappano dalla finestra, gonfiati al vento come vele di imbarcazioni per viaggi da ricordare senza migliaia di foto inutili salvate su un telefono.

Voglio tornare all’analogico. Il me stesso analogico, quello che non è legato ai social network, quello che non s’affanna a leggere i messaggi, quello che non ha bisogno di giocare a stupidi giochini che fanno perdere tempo.
Voglio riempire il mio tempo di cose sia utili che dilettevoli, dimenticando tutto il caos delle notizie irrilevanti e dei pareri poco ponderati di persone patetiche portatrici di handicap.

Lasciatemi morire e rinascere mille e più volte, lasciatemi dimenticare e poi ricordare con l’amarezza scolpita in volto e infranta nuovamente dalle sorprese quotidiane.
Lasciatemi perdere la gravità, lasciatemi volare liberamente, nella mia stanza.

Mi chiedo mille cose solo per avere il maleficio del dubbio, per avere sempre quello sguardo aperto, troppo aperto. Talvolta al punto da scordare il valore di un punto di vista razionale.

Permettetemi di sbagliare, di riparare i cocci che mi trovo in mano la mattina quando mi sveglio.

Quanto sarebbe incantevole fare dei frammenti un ricordo inestimabile, come nella kintsukuroi giapponese?

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Spacciatori di casualità

“First thought, best thought.”

Bene, dunque, è giunto il momento di arrendersi definitivamente. Arrendersi? A che cosa?

Non c’è una cosa, ci sono cose, persone, valori, ideali, paure, preoccupazioni. Ebbene è giunto il momento di accettare la nostra resa incondizionata.
Una resa vittoriosa, che ci farà rinascere come alberi che solo morendo permetteranno alla terra di essere fertile nuovamente.

Direttamente dal pc poggiato sul mio sistema di raffreddamento ad impatto zero home-made vi dico che è tutto vero, ogni singola lettera che state leggendo, frutto di un delirio straordinario, è tutto vero.

Proviamo a salire ancora più in alto, scivolando nell’abisso di noi stessi. Di ME stesso.

Cadendo e fottendomene degli appigli ai quali potrei aggrapparmi, mi chiedo se ha senso correggere addirittura gli errori grammaticali. Nulla nulla nulla nulla ha più senso, eppure nulla sembra casuale.

Ritmi balistici cascano sul pianto del timpano come corna infuocate che bucano il petto e fanno sanguinare sulle ginocchia poggiate sulla panca di una piccola chiesa.

Ceci ardenti che rotolano fino a coprire ogni corpo inerme e assopito nel gesto della preghiera, riferita a chi non so nel mondo dell’aldilà. Curioso come “aldilà” mi ricordi tanto un paesello uscito dal film Grinch.

Delirio, delirio ardente come una fornace in funzione, pronta a sfornare forme fortuite ai forti fortunati nella fortezza di Fortaleza con un font fonte di fanti elefantiaci e fanatici fantasiosi che hanno finto di fottere il folk con la fantomatica canzone Faint dei Linkin Park che porca puttana parevano portare positive partecipazioni pensandoci a posteriori.

Mangio la Magna Charta come fosse un bubble gum di Holly e Benji, firmato da Anastacia che trasuda follia e pus viola evanescente, piuttosto che studiare come avrei dovuto fare sin dall’inizio di questa stra dannatissima sessione, che poi mi chiedo, ma conta veramente così tanto cominciare? In realtà conta la costanza, nient’altro. Cos’altro vuoi che conti? Nella vita forse le cose sono un pelo diverse, lì contano molto di più il talento la furbizia e la strabenedetta BOTTA DI CULO.

In ogni caso, lasciamo perdere certi inutili vaneggiamenti frutto di stereotipati ricordi stipati nella memoria a lungo termine, rievocati dala mia tega, anzi, Tega.

LA TEGA CON LA T FOTTUTAMENTE MAIUSCOLA.

Proseguo, fingo di non preoccuparmi di chi sta leggendo, così da alienare almeno per qualche secondo il giudizio onnipresente delle persone che grava sulle mie spalle come un corvo silenzioso, che gracchia all’improvviso quando meno te lo aspetti, facendoti trasalire e salire il sangue al volto come un richiamo di disperazione sotto forma di globuli rossi e plasma.

Evito, evito di parlare ma soprattutto di parlarvi, perché un vero uomo impara prima a vivere da solo e poi a vivere con le altre persone. Provare ad attuare questo procedimento all’inverso equivale ad una tortura infinita, uno stillicidio che si concluderà con un’inafferrabile insoddisfazione, frutto della poca autodeterminazione. Il proprio io, così atrofizzato, dovrà lottare come un newbie ad una maratona, fino ad essere madido fuori e arso dentro.

Così accadono e si susseguono le cose i pensieri le emozioni eccetera eccetera mio dio adesso basta, cazzo.

Un secondo di pausa. Stop.

Si riprende fra 3

2

1

Stop again.

VIA!

Sperimenti, speri, menti. Questo sostanzialmente è il riassunto di quanto accaduto. Marcivo nella vergogna delle mie colpe, celate al mondo tranne ai colpevoli miei complici. Sedavo il suo bisogno irrequieto di saltare fuori, feto di una tentazione fuggevole appartenente ad istanti in cui io ero e non ero allo stesso tempo. Istanti in cui nulla ha più importanza, istanti tragici in cui le responsabilità scendendo dalle tue spalle ti fanno sentire così leggero da impedirti di stare con i piedi per terra, allora inizi a galleggiare, sali alto e senza controllo come un palloncino d’elio al vento.

Credete che tutto possa concludersi con un semplice scoppio a cento metri di altezza? Con qualche brandello di plastica qua e là?

Se la soluzione è la più facile, probabilmente è quella sbagliata.

Hellcome Back

Eccomi, sono ritornato! Rieccomi qui con voi, pubblico invisibile (nel mio caso anche inesistente) di internet!

Sono passati diversi mesi dall’ultimo articolo che ho pubblicato su questo blog, vedo che “Illusioni a prima vista” risale al 21 Febbraio… Wow.
Ne sono successe di cose in questo lasso di tempo, talmente tante che riflettendoci mi sembra tutto così assurdo.

Ma… giusto. Avevo promesso che qui non avrei scritto nulla della mia vita e che non avrei reso questo spazio un ennesimo sfogo sotto forma di diario, nel mio caso, deliriario.
Però, giusto per dare un senso alla mia assenza posso dirvi che ho passato momenti incredibili, per lo più negativi purtroppo. Per causa mia e non.
Rimettersi a battere i pulsanti della tastiera davanti ad uno schermo luminoso nella mia stanza, da solo, senza luce, accompagnato unicamente dai Massive Attack mi fa sentire bene. Dalle esperienze che ho fatto in questo periodo ho imparato più di quanto potessi sperare, mi chiedo se il dolore e la solitudine possano effettivamente insegnare qualcosa.

La sofferenza che si prova alla fine di una relazione ad esempio, ci permette effettivamente di crescere? Oppure si tratta di uno stato di inutile agonia, che prolunghiamo fino al punto in cui ci imbattiamo finalmente in una soluzione? Un foro nel recipiente che contiene i nostri tormenti densi come mercurio?
Io leggo di tanti psicologi, di tante teorie e opinioni, contrastanti e contraddittorie a volte, che parlano di sofferenza e di lutto ognuno con la sua maniera di vedere le cose.

Perché sì, in fondo esiste un senso comune di agire, ma ognuno ha il suo modo di far esperienza del dolore e lo stesso vale per qualsiasi altra emozione.

  • La gente desidera smettere di soffrire, è vero, ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare, a cessare di definirsi in funzione delle sue adorate sofferenze.
    – Alejandro Jodorowsky,  Psicomagia: Una terapia panica

Mi ci ritrovo molto in questa frase, in questo modus operandi tipico di chi ha bisogno di occupare la propria mente con questioni irrisolte.

Per quanto mi riguarda, trovo infinitamente più difficile dimenticare una questione non chiarita piuttosto che una situazione sgradevole le cui ragioni sono lampanti.
La prima è come una ferita aperta che fatica a rimarginarsi, si sporca, la ignori e più la ignori più questa rischia di peggiorare.
La seconda invece è come un osso rotto, a meno che non sia grave, guarirà prima o poi.

Detta fra noi, non mi va di porre la lente d’ingrandimento su argomenti così vasti perché si finisce solo con osservazioni inutili, generiche e banali. Schifosamente banali.

OT:(Ogni volta che dico banali mi vengono in mente le banane).

In ogni caso, se dovessi fare una sintesi breve e maledettamente concisa su cosa ho imparato in questi mesi direi:

Gli errori che facciamo sono anch’essi capitoli della nostra storia, non ha senso strappare via le pagine, basta continuare a scrivere.

Bene, ora che ho ulteriormente ignorato i miei doveri in favore di un “allegro” articoletto, magari al prossimo giro potrei parlare di procrastinazione. Chissà.

 

Illusioni a prima vista

Le mie mani non servono a niente, le loro promesse di poter afferrare qualsiasi cosa sono un’illusione in cui annego di continuo.
Il tuo volto, così simmetrico nella sua straordinaria natura.
Il tuo sguardo, che guarda nei miei occhi senza la paura del confronto.
Il tuo profumo, così leggero che solo chi ti sfiora può percepirlo davvero.
I tuoi capelli, estroflessioni della tua umbratile femminilità.
Le tue gambe, sottili e sinuose come i rami della pianta più nobile, come una tacita promessa, che deciderai tu di mantenere oppure no.
La tua anima, così fredda e inarrivabile, tiene il mio cuore fra le mani, senza stringerlo, senza accarezzarlo.
Io posso urlare alle tue orecchie, sorde a ciò che provo.
Divento una funzione di ciò che sei, l’unico modo per farti sentire il ritmo nel mio petto.
Ancora una volta il prodotto del tuo volere.
Schiavo dei miei desideri al punto da negare la mia natura più imprescindibile.

Io divento ancora schiavo, di una giovane illusione.